L’evoluzione della biopsia prostatica con la Fusion Biopsy trans perineale


«È importante avere una diagnosi corretta in tempi veloci, perché quando il tumore è individuato in fase iniziale può essere curato e possono essere salvate al paziente funzioni importanti come la continenza urinaria e la potenza sessuale». Ne parliamo con il dottor Alessandro Giacobbe, specialista urologo della Clinica Fornaca e dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino.

Ad oggi le neoplasie prostatiche sono le più frequenti nell’uomo occidentale (il 19,8% di tutti i tumori maschili) e solo nel 2022 sono state stimate circa 40.500 nuove diagnosi. È importante dunque avere una diagnosi corretta in tempi veloci, perché quando il tumore è individuato in fase iniziale può essere curato e possono essere salvate al paziente funzioni importanti come la continenza urinaria e la potenzia sessuale. Per molto tempo ci si è basati solo sull’esame del valore di PSA che però non è un marcatore tumorale, ma un campanello di allarme che indica se c’è una disfunzione dell’organo, come ad esempio una infezione, una infiammazione o un tumore.

Perché la Fusion Biopsy è innovativa?

«Da alcuni anni la Fusion Biopsy si è rivelata un’arma vincente nella diagnosi del tumore prostatico – afferma il dottor Alessandro Giacobbe – e questo grazie alla sua tecnologia innovativa di fusione delle immagini ottenute con Risonanza Magnetica ed ecografia in 3D, consentendo di localizzare con precisione il tumore della prostata e il suo volume e garantendo così una diagnosi più accurata.

Questa tipologia di biopsia fino ad oggi veniva effettuata per via trans rettale con un rischio seppur minimo di sepsi, ossia di infezione dopo la procedura.

Già nel 2022 però le linee guida europee dell’EAU (European Association of Urology) riportano con un grado di evidenza forte che la biopsia prostatica deve essere preferita per via trans perineale, e non più trans rettale, con l’uso della tecnica fusion. Studi presenti in letteratura e condotti su circa 163.000 pazienti hanno evidenziato l’importante decremento delle infezioni dopo biopsia prostatica trans perineale (0,1%) rispetto alla precedente condotta per via rettale (0,9%)».

Cosa fare in caso di rialzo del PSA?

«Attualmente in caso di rialzo dei livelli del PSA il paziente deve recarsi dall’urologo che valuterà se fare una risonanza prostatica multi parametrica, esame che aiuterà a decidere se consigliare di fare una successiva biopsia oppure no.

Chiaramente per garantire un percorso efficace ed efficiente al paziente il gioco di squadra è fondamentale: in campo ci sono l’esperienza del radiologo, i macchinari di ultima generazione per fare la risonanza, un’ottima strumentazione per la biopsia e la specializzazione dell’urologo nel fare la biopsia prostatica fusion. Tutti elementi che sono presenti in Fornaca.
Una risonanza ben condotta consente all’urologo di individuare con maggior precisione le aree sospette da sottoporre a prelievo bioptico e raggiungere un maggiore livello di accuratezza anche entro pochi millimetri».

Come avviene l’esame?

«L’esame ha una durata complessiva di circa trenta minuti e non è necessaria una particolare preparazione del paziente. L’introduzione dell’ago avviene dal perineo, non più dal retto, e quindi il rischio di infezione è minimo».

Da non dimenticare poi il ruolo della prevenzione

«A partire dai 50 anni tutti gli uomini dovrebbero fare uno screening, come l’esame dei livelli di PSA e una visita urologica. In caso di familiarità di tumore prostatico è bene iniziare con la prevenzione a partire dai 45 anni».