Dolore lombare: nuove frontiere


Diagnostica sempre più precisa, maggiore conoscenza della problematica, chirurgia solo per specifiche patologie all’origine del dolore lombare.

Diagnostica sempre più precisa, maggiore conoscenza della problematica, chirurgia solo per specifiche patologie all’origine del dolore lombare.

Esistono tanti tipi diversi di mal di schiena e molteplici cause di dolore lombare. Nella stragrande maggioranza dei casi non è indicata la chirurgia, ma nelle rare condizioni in cui la situazione vertebrale è compromessa ed è necessario intervenire per risolvere i sintomi da compressione spinale o prevenirli, allora può essere indicato l’intervento di artrodesi. Un intervento ad oggi più “conservativo” rispetto al passato, sicuro, mini invasivo, attento alle strutture e ai tessuti, ed effettuato anche con innovative piccole protesi che mantengono la mobilità delle vertebre. Delle indicazioni e delle novità in questo ambito si è parlato in occasione dell’incontro organizzato dal Comitato Scientifico della Clinica Fornaca dal titolo: “Dolore lombare nella patologia degenerativa del rachide. Indicazioni all’artrodesi”. Sono intervenuti il dottor Marco Muratore, specialista in chirurgia vertebrale e responsabile della Chirurgia vertebrale della Clinica Fornaca, e il dottor Francesco Zenga, specialista in neurochirurgia della Clinica Fornaca e Responsabile del reparto di Chirurgia del Basicranio e Ipofisaria della Città della Salute e della Scienza di Torino.

Quali sono le novità sul mal di schiena?

Le maggiori pubblicazioni e novità scientifiche in merito al mal di schiena riguardano un aspetto clinico-diagnostico fondamentale che guida anche l’indicazione chirurgica: la presenza di dolore da sbilanciamento sagittale della colonna. Il disallineamento sagittale della colonna – spiega il dottor Francesco Zenga – ha dimostrato in quasi tutti gli studi di essere un predittore indipendente di dolore e disabilità nei pazienti adulti. Studi recenti hanno dimostrato anche che il miglioramento dell’allineamento sagittale dopo intervento chirurgico può aumentare il beneficio clinico, con la riduzione dei sintomi, in questi pazienti.

In pratica, quando il dolore è causato da patologie non degenerative (tumori, infezioni), patologie non identificabili nell’imaging, cioè un dolore lombare indeterminato (patologie psicologiche, fibromialgia, patologia reumatica) spesso non è presente sbilanciamento sagittale, che è invece presente nel dolore legato alle patologie degenerative (ernie del disco, scoliosi, spondilolistesi, instabilità della colonna).

Questa distinzione è particolarmente importante perché nella popolazione over 60, il dolore lombare è in genere associato a degenerazioni discali con squilibrio sagittale del rachide che necessita di compensi posturali. Grazie alle moderne e sempre più accurate tecnologie diagnostiche che hanno contribuito a migliorare la conoscenza della patologia e della diagnosi alla base del mal di schiena, e alle innovazioni nelle tecniche chirurgiche mininvasive è stato anche possibile capire quali patologie e pazienti possono avere benefici dall’intervento. In molti casi, però, la diagnosi del dolore lombare è complessa perché le cause potenziali possono essere molteplici, talvolta anche più cause contemporaneamente, e non sempre legate alla colonna vertebrale.

Con quali criteri si propone l’intervento chirurgico per il mal di schiena?

Da un punto di vista strettamente clinico, il mal di schiena è un sintomo, non una patologia – spiega il dottor Francesco Zenga -. Significa che il mal di schiena può essere un episodio occasionale, cioè acuto, che si può ripetere più volte nella vita, ma che di solito non è spia di patologie gravi e spesso si risolve spontaneamente. Il dolore lombare acuto è così frequente nella popolazione mondiale che, si stima, ne faccia esperienza almeno una volta nella vita, oltre l’80% delle persone. Ma solo nel 15% dei casi, più nelle donne che negli uomini, questo dolore diviene cronico. È questo il tipo di dolore che va affrontato chirurgicamente.

Il criterio principale che porta a raccomandare la chirurgia è l’entità del dolore meccanico cronico esacerbato dal carico, che non ha avuto benefici da 6-12 mesi di terapia conservativa (fisioterapia, in genere) e che influenza negativamente la qualità di vita della persona.  Al dolore, però, devono corrispondere anche criteri radiologici (imaging) individuati sulla base del grado di danno rilevato. Un altro criterio è quello di considerare il disco degenerato anche come una deformità che ha alterato il bilanciamento sagittale della colonna costringendo la persona a compensi dolorosi. In questi casi, la chirurgia di artrodesi ha dimostrato addirittura di prevenire l’insorgenza della scoliosi degenerativa, e quindi ha anche una funzione preventiva.

Quali sono gli interventi nel dolore lombare associato allo sbilanciamento sagittale?

La scelta dell’intervento dipende dall’attenta valutazione clinico-diagnostica che deve portare il chirurgo a selezionare il paziente giusto per la soluzione chirurgica migliore per ogni patologia – prosegue il dottor Marco Muratore -. L’opzione chirurgica per le spondilolistesi, ad esempio, è l’intervento mini invasivo di artrodesi che ha l’obiettivo di bloccare una o più vertebre, allo scopo di alleviare il dolore, ridurre la listesi (lo scivolamento delle vertebre), decomprimere i nervi e dare un costrutto stabile alla colonna. In generale – sottolinea il dottor Zenga -, in presenza di instabilità della colonna, l’intervento di stabilizzazione con artrodesi è indicato, mentre la letteratura scientifica non dà indicazioni per l’artrodesi nella discopatia degenerativa senza instabilità o deformità. Interventi più tradizionali come la decompressione, la laminectomia, sono invece particolarmente efficaci nelle patologie in cui il dolore lombare è associato a sciatalgia, come nell’ernia discale. Discorso a parte meritano le moltissime terapie rigenerative mini invasive per prevenire il dolore, l’insorgenza del dolore e fornire un trattamento nelle fasi precoci del dolore, che però, a oggi, non hanno validazione scientifica e quindi non rientrano tra le opzioni per il paziente.

Quali sono le novità della chirurgia di fusione vertebrale con artrodesi?

L’introduzione nella pratica chirurgica di “piccole protesi”, in inglese chiamate cage (gabbia), ha cambiato radicalmente l’intervento di artrodesi. Le “gabbie” – spiega il dottor Marco Muratore – permettono alle vertebre di fondersi correttamente, decomprimere i nervi, stabilizzare la colonna, mantenere la funzione e il movimento naturale del segmento vertebrale. Esistono diverse tecniche di artrodesi che differiscono tra loro per la via d’accesso (posteriore, laterale, estremo laterale, obliqua, anteriore) con cui il chirurgo arriva al disco intervertebrale. La tecnica di artrodesi più utilizzata prevede una laminectomia, ovvero la rimozione del disco compromesso e poi la sostituzione con la cage, fissata alla colonna allo scopo di stabilizzarla. Così facendo, quel movimento anomalo di instabilità che causava i sintomi di compressione dei nervi e la discopatia si possono considerare risolte.

Esistono altre tecniche ancor più mini invasive che riducono il rischio di fibrosi cicatriziale post chirurgica (complicanza che deriva dalla maggior presenza di tessuto cicatriziale sulla colonna vertebrale). Le diverse tecniche di artrodesi però non sono adatte a tutti i pazienti: alcuni approcci sono ad esempio controindicati nelle spondilolistesi, nelle deformità importanti che richiedono delle osteotomie di sottrazione per poter ridare una corretta lordosi al paziente, nelle forme di grave osteoporosi, obesità per cui è molto più difficile valutare l’anatomia del paziente.

Nei casi più gravi, invece, in cui l’anatomia vertebrale è difficilmente riconoscibile perché alterata dalla patologia, gli interventi vengono effettuati con sistemi di navigazione assistita da braccio robotico che permettono al chirurgo di avere una guida da seguire, grazie alla pianificazione e simulazione virtuale preoperatoria.

Quali sono i vantaggi dell’artrodesi mini invasiva?

Per intervento mini invasivo si intende una chirurgia che deve rispettare il più possibile l’anatomia del paziente, le strutture neurologiche e muscolari – sintetizza in chiusura il dottor Marco Muratore -. Alcune tecniche relativamente recenti permettono di “risparmiare” più tessuto muscolare durante l’intervento. Questo aspetto è fondamentale perché migliora notevolmente il recupero post operatorio, meno doloroso e più veloce. Inoltre, l’utilizzo di tecnologie di pianificazione pre operatoria 3D permette al chirurgo di studiare l’intervento e simulare il posizionamento dei mezzi di sintesi necessari a partire da una TC della colonna, aumentando l’accuratezza del posizionamento delle viti, la stabilizzazione della colonna, e quindi il risultato dell’intervento per il paziente. Inoltre, grazie alla stampa 3D del calco della vertebra viene realizzata una mascherina personalizzata identica a quella del paziente, nel rispetto completo dell’anatomia del paziente.