La “diagnosi al congelatore” aiuta il lavoro del chirurgo


L’esame istologico intraoperatorio viene eseguito nel laboratorio di Anatomia patologica della Clinica Fornaca per fare chiarezza sulla diagnosi di malattia del paziente: «In circa 10-15 minuti si fornisce al chirurgo la risposta che può decidere ed eventualmente modificare la tipologia dell’intervento», spiega il dottor Bruno Torchio, anatomo patologo della Fornaca. L’esame istologico intraoperatorio (detto anche “diagnosi al congelatore”) […]

L’esame istologico intraoperatorio viene eseguito nel laboratorio di Anatomia patologica della Clinica Fornaca per fare chiarezza sulla diagnosi di malattia del paziente: «In circa 10-15 minuti si fornisce al chirurgo la risposta che può decidere ed eventualmente modificare la tipologia dell’intervento», spiega il dottor Bruno Torchio, anatomo patologo della Fornaca.

L’esame istologico intraoperatorio (detto anche “diagnosi al congelatore”) rappresenta uno dei punti di forza del laboratorio di Anatomia patologica della Clinica Fornaca che, grazie alla rodata esperienza del dottor Bruno Torchio, fornisce un ausilio indispensabile all’attività delle sale operatorie della Clinica. Si tratta di una metodica che prevede prelievo e diagnosi da effettuarsi nel corso dell’intervento chirurgico: «Il tessuto prelevato dal chirurgo – spiega il dottor Torchio – viene congelato (da qui il termine “congelatore”) per poter essere tagliato, colorato ed esaminato al microscopio in modo tale da poter formulare una diagnosi».

Il processo di congelamento avviene all’interno di uno strumento chiamato criostato: il reperto chirurgico viene adagiato su uno speciale supporto attraverso un gel che, a temperature molto basse (-20°/-25°), favorisce un congelamento rapido. Il tecnico di laboratorio provvederà a tagliarlo in fette di pochi micron che, montate su un vetrino e colorate, consentiranno all’anatomo patologo di fornire la propria diagnosi: «Questa metodica prevede, tra l’arrivo del pezzo e la diagnosi finale, circa 10-15 minuti, a seconda della difficoltà diagnostica – puntualizza il dottor Torchio -. Ci sono ovviamente casi più semplici e altri che richiedono che richiedono più tempo».

A cosa serve la diagnosi al congelatore? «Negli anni – risponde il dottor Torchio – si è modificato molto l’utilizzo di questa metodica. Ancora negli anni ’60 rappresentava spesso la prima diagnosi eseguita su un organo. Pensiamo per esempio alle neoplasie mammarie: non esistevano tutte le metodologie (ecografia, mammografia, agobiopsia preoperatoria, Risonanza magnetica) che oggi consentono al chirurgo una diagnosi ancor prima di eseguire l’intervento, il nostro era il primo riscontro oggettivo sulla malattia della paziente». E fornire la prima diagnosi attribuiva una responsabilità ancora maggiore all’anatomo patologo. «Oggi l’esame intraoperatorio può fare chiarezza sulla diagnosi di malattia – aggiunge il dottor Torchio – sia che si tratti di una prima diagnosi sia che ci ritrovi di fronte a un nuovo quesito diagnostico posto dall’intervento in corso. È un esame che molto spesso “suggerisce” al chirurgo il comportamento da assumere nel prosieguo della sua operazione».

«Tutti i tessuti sono esaminabili, anche se i più frequenti sono quelli di mammella, tiroide, vie biliari e pancreas – prosegue il dottor Torchio –. In caso di tumore, dobbiamo valutare se il tessuto circostante a quello asportato è sano o meno. Nel primo caso parleremo di “bordi puliti”, se invece il tumore è troppo vicino ai margini avremo dei “bordi coinvolti” e sarà necessaria una nuova asportazione di tessuti». Ancora in caso di tumore, all’anatomo patologo tocca anche formulare la cosiddetta stadiazione della neoplasia che determinerà prognosi e terapia.

Qual è la corrispondenza tra la diagnosi intraoperatoria e quella definitiva (condotta sullo stesso reperto attraverso metodiche più lunghe e approfondite)? «Dipende ancora una volta dall’organo in questione – risponde il dottor Torchio -. Nel caso della mammella, per esempio, si arriva a circa il 90 per cento di corrispondenza. In altri casi, la percentuale è più bassa per via del margine di errore insito nella metodica». Una possibilità di errore che deve essere nota al chirurgo e al paziente: «Gestire in modo informato l’esito di un esame intraoperatorio è fondamentale – chiude il dottor Bruno Torchio -. Nel laboratorio della Clinica Fornaca lavoriamo secondo questo criterio: mettere al servizio del chirurgo la nostra competenza ed esperienza, fornire al paziente tutti gli strumenti più idonei per gestire al meglio l’esito dell’esame».