Il dolore nelle patologie reumatiche: conoscerlo prima di affrontarlo


«Il sintomo doloroso può diventare una vera e propria malattia indipendente, sovrapposta alla patologia di base», spiega il dottor Paolo Clerico, reumatologo e ortopedico della Clinica Fornaca. Sono diversi i trattamenti che possono essere associati alla cura del dolore, anche in caso di fibromialgia o di dolore oncologico da metastasi ossee.

«Il sintomo doloroso può diventare una vera e propria malattia indipendente, sovrapposta alla patologia di base», spiega il dottor Paolo Clerico, reumatologo e ortopedico della Clinica Fornaca. Sono diversi i trattamenti che possono essere associati alla cura del dolore, anche in caso di fibromialgia o di dolore oncologico da metastasi ossee.

«Il dolore è un sintomo comune in molte patologie di ambito internistico, neurologico e reumatologico e rappresenta un problema che il medico di famiglia affronta ogni giorno nel suo ambulatorio. Nelle patologie articolari e muscolo-scheletriche può insorgere acutamente, come avviene in caso di fratture vertebrali su base osteoporotica o in caso di artrite acuta da cristalli, ma per lo più registra un decorso cronico con acutizzazioni episodiche».

Con queste parole, il dottor Paolo Clerico, reumatologo e ortopedico della Clinica Fornaca, già responsabile del Centro di Artrite reumatoide dell’ospedale CTO di Torino, definisce il concetto di “dolore” nelle patologie reumatiche. «La cronicizzazione del dolore – prosegue – è come noto legata a fenomeni di sensibilizzazione periferica e centrale che trasformano radicalmente l’esperienza dolorosa vissuta dal paziente: in questi casi, il sintomo doloroso può diventare una vera e propria malattia indipendente, sovrapposta alla patologia di base, con importante interessamento della sfera emozionale del paziente».

Dottor Clerico, è corretto dire che la cronicizzazione del dolore modifica radicalmente l’approccio terapeutico alla patologia di base?

«È proprio così. In un paziente artrosico, ad esempio, in cui prevale la componente meccanico degenerativa, la terapia antinfiammatoria è indicata solo nelle fasi di infiammazione articolare e se il dolore persiste è preferibile ricorrere a farmaci come il paracetamolo, eventualmente associato a oppiacei deboli come la codeina e il tramadolo, sfruttando il loro effetto sulle vie inibitorie discendenti per limitare la sensibilizzazione spinale del dolore. Per contro, nelle patologie artritiche dove è dominante la sensibilizzazione periferica del dolore, l’uso di Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) e steroidi ha un ruolo fondamentale non solo nel controllo della patologia di base ma anche nel controllo del dolore».

Quali sono i trattamenti che possono essere associati alla cura del dolore?

«Spesso per un efficace controllo del dolore è necessario un approccio multimodale, che prevede cioè più metodiche associate. Nelle patologie infiammatorie delle entesi (capsula articolare, inserzioni tendinee) alla terapia medica può essere utile associare una terapia fisica locale come laserterapia, tecarterapia o litotrissia per ridurre la sensibilizzazione periferica del dolore. Nel dolore da edema osseo o nella sindrome dolorosa regionale complessa (CRPS), può invece essere utile associare un trattamento con bifosfonati come il clodronato e il neridronato. Nel low back pain, mal di schiena che colpisce la parte inferiore della schiena, possono essere utilizzate varie tecniche: da farmaci inibitori dei canali del calcio a livello sinaptico come il pregabalin a cerotti transdermici di buprenorfina o ancora a tecniche di desensibilizzazione periferica mediante agopuntura, TENS od ozonoterapia. Possono anche essere utilizzate metodiche più complesse che utilizzano la radiofrequenza per denervare le faccette articolari intervertebrali mediante termoablazione. In casi selezionati occorre ovviamente anche valutare un’eventuale indicazione chirurgica, come nel caso di grave artrosi d’anca o di ginocchio, che possono richiedere un intervento di artroprotesi o di rachialgie da cedimenti vertebrali su base osteoporotica o da instabilità vertebrale che possono richiedere un intervento di vertebroplastica o di stabilizzazione vertebrale».

Cosa dire della fibromialgia, classico esempio di dolore cronico primario, presente anche se non c’è un evidente danno anatomico nella sede del dolore?

«Si tratta di una patologia molto comune, soprattutto nelle donne che svolgono una vita sedentaria. In questi casi la componente emozionale ha spesso un ruolo fondamentale ed è perciò necessario un adeguato supporto psicologico del paziente. Anche se da soli non sono risolutivi, farmaci come l’amitriptilina e gli inibitori del recupero della serotonina a livello sinaptico possono avere un ruolo molto importante per il loro effetto sulla trasmissione neuronale del dolore. Anche la L-acetilcarnitina e il coenzima Q possono essere utilizzati per il loro effetto positivo sul metabolismo cellulare, per migliorare l’astenia associata al dolore e consentire un progressivo aumento dell’attività fisica, fondamentale per il recupero della disabilità del paziente. Infine, in caso di trigger points, punti localizzati nel muscolo la cui palpazione evoca un dolore pungente e molto intenso, l’infiltrazione con lidocaina e talora la semplice puntura possono determinare un immediato sollievo dal dolore locale».

Come va infine affrontato il dolore oncologico da metastasi ossee?

«È un grande capitolo che, data la sua complessità, richiede sempre un approccio interdisciplinare tra oncologo, radioterapista, medico di terapia antalgica e ortopedico. La terapia antalgica in questi casi si basa su oppioidi forti come il tapentadolo, l’ossicodone, il fentanil, mentre le lesioni ossee metastatiche possono beneficiare del trattamento con bifosfonati come il pamidronato o di anticorpi monoclonali selettivi come nel caso del denosumab. In casi particolari, il medico di terapia antalgica potrà ricorrere a tecniche mininvasive come il posizionamento di elettrostimolatori antalgici o ancora di pompe elastomeriche per l’ottimizzazione della terapia infusionale antalgica, mentre il chirurgo ortopedico dovrà intervenire nel trattamento delle lesioni metastatiche a rischio di frattura e nel trattamento delle fratture patologiche».