Gli esami appropriati per una corretta diagnosi di reflusso gastroesofageo, stipsi, dispepsia


«Si tratta di disturbi che affliggono molto seriamente la vita quotidiana del paziente riducendone fortemente la qualità», spiega la dottoressa Edda Battaglia, specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva della Clinica Fornaca. «È indispensabile ricorrere a test in grado di orientare l’approccio e il Piano terapeutico del paziente». «Per esofago e tratto digestivo inferiore presso la […]

«Si tratta di disturbi che affliggono molto seriamente la vita quotidiana del paziente riducendone fortemente la qualità», spiega la dottoressa Edda Battaglia, specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva della Clinica Fornaca. «È indispensabile ricorrere a test in grado di orientare l’approccio e il Piano terapeutico del paziente».

«Per esofago e tratto digestivo inferiore presso la Clinica Fornaca vengono eseguiti la manometria esofagea e la ph-impedenziometria, due test di fisiopatologia digestiva che servono a definire nel migliore dei modi il tipo di problema del paziente e a scegliere l’approccio e il Piano terapeutico più adeguato». La dottoressa Edda Battaglia, specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva della Clinica Fornaca, introduce con queste parole due esami fondamentali nella diagnosi di patologie invalidanti e sempre più diffuse.

Dottoressa Battaglia, che cos’è la fisiopatologia digestiva?

«La fisiopatologia digestiva è un aspetto della Gastroenterologia clinica che riguarda la funzione dell’apparato gastrointestinale. Dal punto di vista diagnostico, assieme a Endoscopia e Radiologia completa la valutazione della funzione dell’esofago, del colon e dell’ano-retto nonché la gestione di disturbi funzionali quali reflusso gastroesofageo, stipsi, meteorismo e dispepsia (cattiva digestione)».

Di quali disturbi si occupa in particolare?

«La fisiopatologia digestiva si occupa di disturbi che spesso non vengono connotati come malattia, ma “ridotti” a patologie funzionali e quasi inventate. In realtà si tratta di disturbi che affliggono molto seriamente la vita quotidiana del paziente riducendone la qualità più di una malattia oncologica. Pensiamo a un paziente con stipsi o diarrea cronica che non riesce a gestire la propria giornata familiare, sociale o di lavoro».

Che cos’è la manometria esofagea?

«La manometria esofagea è un esame che valuta la motilità dell’esofago, vale a dire il primo tratto del canale digestivo. È il “tubo” che porta il cibo dalla bocca allo stomaco, depositario di funzioni molto specifiche connesse alla deglutizione e al trasporto del bolo alimentare allo stomaco. Studia quindi la funzione dello sfintere esofageo inferiore, correlata all’ernia jatale e alla ben nota patologia del reflusso. È in più l’esame principale per valutare disturbi motori importanti come l’acalasia o gli spasmi esofagei che mimano attacchi cardiaci e spesso conducono il paziente in Pronto soccorso, a visite cardiologiche e ad accertamenti diagnostici anche invasivi. Si tratta di disturbi importanti che solo negli ultimi anni abbiamo imparato a cercare di diagnosticare e curare: la manometria esofagea è l’unico esame utile a ottenere la diagnosi di acalasia, solo in questo modo la possiamo tipizzare per suggerire al chirurgo la strategia più adeguata. In Fornaca la manometria esofagea è eseguita in Alta risoluzione, innovazione tecnica più moderna e “gold standard” per la diagnosi del disturbo motorio esofageo».

Come si esegue invece l’esame di ph-impedenziometria?

«La ph-impedenziometria è un esame Holter che registra per 24 ore qual è l’entità del reflusso in esofago. L’esame si conduce con un sondino posizionato per via trans-nasale fino allo stomaco e collegato a un registratore esterno. Il sondino ci permette di capire cosa succede nell’esofago: di caratterizzare i reflussi (liquidi o gassosi) ma soprattutto di correlarli con i sintomi del paziente associandoli al valore ph, che li definisce come acidi, debolmente acidi o non acidi e li indirizza verso trattamenti completamente diversi».

Si tratta di patologie frequenti e in incremento che affliggono soprattutto la popolazione giovane adulta. Perché il loro numero è in crescita?

«Intanto perché c’è una maggiore capacità diagnostica che ci permette di identificare come funzionali disturbi per molto tempo ritenuti di esclusiva competenza di neurologo o psichiatra. Ma poi si è molto modificata la percezione di benessere che, in particolar modo nelle donne in età lavorativa, significa non accettare più la possibilità di vivere giornate invalidate dalla necessità di correre in bagno o altro. L’incremento è altresì correlato a modificate abitudini alimentari, fumo di sigaretta, helicobacter Pylori, obesità e politerapie per altre patologie. È, nel complesso, l’emersione di un iceberg che una volta mostrava solo la punta».

Il target più importante del disturbo funzionale è la donna giovane: come mai? Esiste una familiarità di genere legata a queste patologie?

«Per quanto riguarda la sindrome dell’intestino irritabile, patologia tra le più frequenti, il rapporto è di quattro donne per un uomo. Il primato femminile si registra anche in tema di dispepsia e stipsi. Al contrario, esofagite e malattia del reflusso sono più frequenti nel maschio giovane adulto, talvolta anche in età adolescenziale e pediatrica».

Quando occorre ricorrere a questi due esami?

«Per eseguire manometria esofagea e ph-impedenziometria il sintomo cardine è la disfagia: faticare a mandare giù il cibo che si ferma nel petto, dover bere per mandare giù il boccone o, peggio ancora, avere l’acqua che va per traverso e sentire il cibo liquido che passa o brucia. Ci sono anche altri sintomi “strani” per l’ambito gastroenterologico: dolore al petto che molti scambiano per infarto, tosse che non risponde a nessun trattamento, manifestazioni che l’otorinolaringoiatra ha imparato a riconoscere come reflusso secondario. Il sintomo che il paziente deve sempre riferire al medico è quel bruciore invalidante che non passa mai nonché la sensazione di stranezza nel passaggio del boccone. Sarà poi il clinico a decidere l’opzione più adeguata».