Test genomici, nuovi farmaci e cure personalizzate per il tumore della mammella


Intervista al dottor Carlo Alberto Raucci: «Lo scenario delle pazienti con tumore della mammella è cambiato. Oggi possiamo effettuare trattamenti sempre più mirati, sia nella fase preventiva sia nella malattia avanzata, per una patologia sempre molto diffusa ma sempre meglio curabile».

Intervista al dottor Carlo Alberto Raucci: «Lo scenario delle pazienti con tumore della mammella è cambiato. Oggi possiamo effettuare trattamenti sempre più mirati, sia nella fase preventiva sia nella malattia avanzata, per una patologia sempre molto diffusa ma sempre meglio curabile».

 

«Rispetto a pochissimi anni fa, lo scenario attuale delle pazienti con tumore della mammella è cambiato. La maggiore sopravvivenza raggiunta dalla donna con una diagnosi di tumore rende quest’ultimo una malattia cronica per la quale abbiamo oggi la possibilità di effettuare una serie di trattamenti sempre più mirati, sia nella fase preventiva sia nella malattia avanzata. Trattamenti sempre più articolati e personalizzati da ascrivere alle possibilità diagnostiche che ci permettono di articolare tutte queste terapie con target biologici diversi: è la cosiddetta medicina di precisione». Con queste parole il dottor Carlo Alberto Raucci, oncologo della Clinica Fornaca e Direttore dell’Oncologia dell’Ospedale Cottolengo, introduce alcune considerazioni su quella che è ancora oggi la neoplasia femminile più frequente in Italia.

Dottor Raucci, qual è il quadro attuale dell’incidenza del tumore della mammella? 

«Il carcinoma della mammella è una patologia molto diffusa che negli ultimi anni ha registrato un incremento di incidenza costante. Oggi nella fascia compresa tra i 50 e i 70 anni di età si ammalerà una donna su 18, ma a questo numero fa da contraltare una riduzione della mortalità dovuta a diagnosi precoce per i programmi di screening, approccio integrato multidisciplinare e terapie più mirate. In Italia, la sopravvivenza a cinque anni per una donna con una diagnosi di tumore della mammella in qualsiasi stadio (da quello iniziale fino a quello metastatico) è all’87 per cento, mentre per le donne operate in fase iniziale con neoplasie ormonosensibili supera il 90 per cento: dati molto favorevoli ed in progressivo miglioramento. Dopo cinque anni dalla diagnosi di tumore, queste donne sono libere da malattia e si possono considerate guarite, anche se c’è l’indicazione a proseguire i controlli e in alcuni sottogruppi a estendere i trattamenti ormonali preventivi fino al decimo anno. Quindi possiamo dire che si tratta di una patologia diffusa ma sempre meglio curabile e sempre più guaribile».

A cosa si devono tanti e importanti progressi nella cura?

«Oggi abbiamo sempre più ampie possibilità di cura che hanno determinato importanti miglioramenti prognostici nella malattia avanzata e in sottotipi di tumore che fino a qualche tempo fa erano considerati più difficilmente curabili e prognosticamente infausti. Mi riferisco a pazienti con malattia metastatica che esprime recettori ormonali che con gli inibitori delle cicline arrivano a una mediana di sopravvivenza che supera i 65 mesi, mentre quelli con tumori metastatici HER positivi, sigla che identifica un tumore poco responsivo alla terapia ormonale e alla chemioterapia standard ma che si giova di terapie biologiche mirate, arrivano a una mediana di sopravvivenza che supera i 50 mesi. Così anche per i tumori tripli negativi, che raccolgono un gruppo di patologie eterogeneo per cui è possibile proporre oggi diversi trattamenti, oltre alla chemioterapia tradizionale. Quindi negli ultimi anni, grazie alle innovazioni tecnologiche e a una migliore analisi dal punto di vista anatomo-patologico riusciamo a identificare meglio i sottogruppi di pazienti con questo tipo di patologia e a curarli meglio con terapie che sono sempre più mirate e precise».

Maggiore sopravvivenza significa perciò cronicizzazione della malattia?

«Dobbiamo considerare il tumore della mammella come una malattia cronica, perché è un dato ormai oggettivo quello di pazienti che hanno avuto una storia di tumore della mammella o che hanno ancora un tumore della mammella ma che fanno una vita del tutto normale per un lunghissimo periodo. Riusciamo a far convivere la malattia e il paziente con una buona qualità di vita cercando di modulare le terapie in modo che siano meno aggressive e impattanti sulla qualità di vita».

Novità importanti riguardano anche l’ambito farmacologico e l’approccio terapeutico. I test genomici ne sono un esempio?

«L’applicazione dei test genomici riguarda pazienti con malattia ormonosensibile in fase iniziale e contribuisce a effettuare, dopo la chirurgia, terapie adiuvanti (cioè preventive) più mirate. Queste riducono il rischio di recidiva aumentando la probabilità di una guarigione definitiva e comprendono terapia ormonale e chemioterapia. In questo ambito i test genomici consentono di attribuire un rischio di recidiva con metodiche diverse da quelle tradizionali: le valutazioni anatomopatologiche e i fattori prognostici consolidati ci permettono di identificare pazienti che certamente si gioveranno della chemioterapia adiuvante e altri che ne saranno esclusi, ma vi è un sottogruppo, diciamo un’area grigia, in cui il beneficio del trattamento non è così chiaro. In questi casi i test genomici analizzano il profilo di espressione genica dei singoli tumori permettendoci di classificare la malattia ad alto o basso rischio di recidiva. In questo modo possiamo proporre terapie mirate a chi ne ha veramente bisogno e risparmiare trattamenti ad altre pazienti che non hanno quel profilo genico di aggressività. Questa opzione che viene ormai applicata in maniera routinaria all’interno della Rete oncologica regionale, è praticata anche alla Fornaca con l’Oncotype DX, che fornisce rispetto ad altri test anche un’indicazione predittiva del beneficio indotto dalla chemioterapia adiuvante.  Aggiungo che anche qui viene garantito un approccio multidisciplinare con coinvolgimento del patologo anche sulle indicazioni e i risultati del test».

Ci sono altri trattamenti indirizzati a sottogruppi di pazienti?

“Certamente. Lo scenario è sempre più articolato e denso di nuove possibilità terapeutiche. Il tumore che esprime HER è più aggressivo rispetto alle forme ormonosensibili e richiede un trattamento combinato di chemioterapia e terapia biologica. Nelle donne con malattia HER positiva abbiamo a disposizione un serie di nuovi farmaci molto promettenti come trastuzumab-deruxtecan e tucatinib. Inoltre si è visto che anche i tumori con bassa espressione HER finora classificati come HER negativi, possono rispondere a trattamenti anti-HER di nuova generazione con un importante beneficio prognostico: questa nuova consapevolezza permetterà una riclassificazione della malattia e la possibilità di nuove cure mirate con sicure implicazioni prognostiche. Quindi forniremo terapie anti-HER a donne che per ora ne sono escluse. Ma i cambiamenti interessano anche donne con carcinoma della mammella e mutazione di BRCA in fase avanzata o localmente avanzata in cui possiamo ricorrere agli inibitori di PARP come olaparib nei tripli negativi e talazoparib negli ormonosensibili o HER negativi. Nelle donne con tumore della mammella triplo-negativo che esprime il target PDL1, è confermata la buona attività dell’immunoterapia dove è possibile utilizzare nella malattia avanzata in associazione a chemioterapia atezolizumab e pembrolizumab. Sempre nelle donne con tumore della mammella triplo negativo con malattia avanzata è possibile utilizzare un inibitore di TROP2 (un altro target molecolare), il sacituzumab-govitecan, che si è dimostrato molto promettente negli studi registrativi».