Plesso brachiale: lesioni, diagnosi e recupero funzionale del movimento


Il plesso brachiale è la struttura anatomica più complessa del sistema nervoso periferico, composta da nervi nati dal midollo spinale che si uniscono a formare un intreccio che va a finalizzare i nervi periferici veri e propri, con la loro componente motoria e sensitiva. Comandano dunque tutte le funzioni degli arti superiori.

Con il dottor Bruno Battiston, Chirurgo della mano, specialista del centro lesioni nervose della Clinica Fornaca e Direttore unità operativa complessa di traumatologia muscolo-scheletrica del CTO di Torino, approfondiamo il tema delle lesioni del plesso brachiale, degli esami necessari per avere una diagnosi e quali sono le terapie per il recupero delle funzioni.

Quando si parla di lesioni del plesso brachiale?

«Si tratta di lesioni che vanno dalle patologie tumorali e compressive, che determinano per il paziente dolore e riduzione della funzione, ma la più frequente è la lesione traumatica post incidente, che capita soprattutto a chi viaggia su motocicli. Il paziente grazie all’uso del casco si salva, ma il possibile allontanamento della testa dal cingolo scapolare provoca una violenta trazione sulle radici nervose e quindi sul plesso brachiale stesso. In questi casi la lesione può portare a una paralisi parziale o addirittura completa dell’arto superiore».

Il paziente come ottiene una diagnosi?

«La diagnosi è clinica ed è fondamentale per capire quali funzioni motorie mancano o in che zona c’è o meno sensibilità. Altri dati clinici servono poi ad orientarci per capire la gravità della lesione e se questa si trova vicino alla colonna cervicale o all’arto superiore. Gli esami a disposizione dello specialista sono fondamentali nella scelta del percorso da intraprendere per il paziente e possono orientarci verso l’intervento chirurgico o verso la terapia di recupero, in base alla gravità della lesione».

Di che tipo di esami si tratta?

«La risonanza magnetica cervicale ci dice se c’è stata l’avulsione del plesso dal midollo spinale, questo nel peggiore dei casi, l’elettromiografia ci aiuta nel decorso e nella fase post operatoria individuando dove si trova la lesione, quanto è estesa, se c’è un recupero spontaneo da parte del paziente e come procede la reinnervazione. Tra gli esami a supporto c’è poi l’ecografia che ci racconta della possibile continuità del tronco nervoso e la radiografia che documenta una possibile associazione a lesioni scheletriche, come fratture della clavicola o della colonna cervicale».

In cosa consiste l’intervento chirurgico?

«Esplorando la lesione possiamo capire se effettuare una sutura diretta o se ricostruire la continuità dei nervi periferici attraverso un innesto, prelevando quindi altri tessuti nervosi del paziente stesso. Da qui in poi né il chirurgo, né il paziente, hanno più controllo sul processo di rigenerazione nervosa e sul recupero funzionale».

Quindi l’intervento chirurgico non è l’unica strada possibile?

«No, c’è anche la possibilità di un recupero spontaneo. In questo caso il paziente va comunque seguito dallo specialista per capire se avviene una risoluzione spontanea della lesione e va supportato sia con una terapia di rieducazione motoria da parte del fisiatra, per evitare ad esempio rigidità articolari, sia attraverso terapie farmacologiche e strumentali come l’elettroterapia che stimola la muscolatura in attesa della reinnervazione».